A cura di Leopoldo Bianconi, Cardiologia, Osp. San Filippo Neri, Roma
La fibrillazione atriale è un'aritmia che spesso inizia in forma parossistica (intermittente). Con il tempo la frequenza e la durata degli episodi aritmici vanno aumentando, finché spesso la fibrillazione atriale diviene cronica cioè stabile. In questi casi è possibile interromperla con farmaci antiaritmici e/o con cardioversione elettrica. In una minoranza di casi né i farmaci né lo shock elettrico esterno (erogato attraverso piastre poste sul torace) sono in grado di interrompere la fibrillazione. In questi casi è possibile effettuare una defibrillazione endocavitaria (inserendo, in anestesia locale, dei cateteri all'interno del cuore ed erogando una scarica elettrica a basso energia). Questa procedura è efficace nella quasi totalità dei casi, anche quelli resistenti alla defibrillazione esterna. Associando, se necessario, la somministrazione di un farmaco le possibilità di successo sono praticamente del 100%. Il problema maggiore non è quindi l'interruzione della fibrillazione atriale, quanto la prevenzione della sua recidiva. In questo purtroppo gli attuali farmaci antiaritmici sono lontani dall'avere un'efficacia ottimale. La decisione quindi in merito ad una nuova cardioversione endocavitaria va quindi subordinata ad una valutazione delle possibilità che ha il paziente di mantenere il ritmo sinusale. E' quindi necessario conoscere quali farmaci antiaritmici sono stati usati e decidere quindi quali eventualmente si potrebbero usare. Anche il lasciare il soggetto in fibrillazione mantenendo una efficace terapia anticoagulante costituisce una alternativa valida. La decisione va presa esaminando caso per caso i pro e i contro delle varie scelte possibili e quindi decidendo insieme al paziente ed ai suoi familiari.
(Keywords: fibrillazione atriale, defibrillazione endocavitaria)
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