L’aumento del colesterolo HDL con Bezafibrato produce benefici nel lungo periodo nei pazienti con malattia coronarica
I principali studi randomizzati riguardanti la terapia con fibrati hanno mostrato una correlazione inversa tra aumento del colesterolo HDL e gli esiti clinici.
Ricercatori del Sheba Medical Center a Tel Hashomer ( Israele ) hanno ipotizzato che il grado di risposta del colesterolo HDL al Bezafibrato ( Bezalip ) fosse associato in modo indipendente a successiva mortalità nel lungo periodo.
E’ stata esaminata la mortalità in 3.026 pazienti con malattia coronarica, assegnati al Bezafibrato ( n=1.509 ) oppure al placebo ( n=1517 ) in correlazione alla risposta del colesterolo HDL alla terapia con fibrato nello studio BIP ( Bezafibrate Infarction Prevention ).
L’analisi multivariata ha mostrato che, rispetto al placebo, i pazienti allocati al Bezafibrato hanno presentato nel lungo periodo una riduzione significativa della mortalità dell’11% ( p=0.06 ).
La riduzione della mortalità nei pazienti trattati con Bezafibrato è risultata associata a una riduzione, statisticamente significativa, della mortalità del 22% ( p=0.008 ) nei pazienti con una risposta del colesterolo HDL alla terapia nel terzile superiore ( maggiore di 8 mg/dl ), mentre nei soggetti con una risposta minore ( colesterolo HDL inferiore a 8 mg/dl ) il rischio di mortalità era simile al placebo ( hazard ratio, HR=0.95; p=0.43 ).
La probabilità cumulativa di mortalità a 16 anni era statisticamente più bassa per i pazienti che avevano assunto Bezafibrato con una risposta del colesterolo HDL maggiore di 8 mg/dl, rispetto al placebo ( 32.1% vs 37.9%; p=0.02 ), mentre nei pazienti che hanno presentato una risposta inferiore la mortalità era simile al placebo ( 36.8%; p=0.57 ).
Dai dati è emerso che la terapia con Bezafibrato, in grado di aumentare i livelli di colesterolo HDL, è associata a una riduzione della mortalità nel lungo periodo, e tale diminuzione è correlata al grado della risposta del colesterolo HDL al trattamento. ( Xagena_2009 )
Goldenberg I et al, Arch Intern Med 2009; 169: 508-514
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